La storia di Chieri è legata a filo doppio con quella dell’industria tessile piemontese e il patrimonio industriale rappresenta per Chieri un valore culturale, fondamentale nel suo cammino storico, in quanto agente di cambiamenti nella vita di intere famiglie, nella struttura sociale, nella stessa struttura urbana e nelle tradizioni locali.

Già nel corso del Quattrocento l’artigianato tessile risultava tra le attività economiche principali. Lana e cotone erano le fibre più comunemente lavorate (ma c’era anche una intensa coltivazione di canapa), e una fama particolare era attribuita alla lavorazione del fustagno, tanto che nel XV secolo era stata costituita la Corporazione omonima che tendeva a garantirne la produzione e la qualità con la fondazione dell’Università del Fustagno.

L’espansione dell’attività tessile influì notevolmente anche sulle altre risorse economiche. Molti proprietari terrieri, infatti, modificarono le loro colture, sostituendo piante da frutto e ortaggi con il gualdo (Isatis tinctoria), una pianta con fiori gialli dai quali si ricava una sostanza che serve per tingere di azzurro i tessuti di cotone. La diffusione della coltivazione fu tale da dare addirittura il nome a uno degli accessi principali della città, la Porta Gialdo, mentre nel centro storico la via della Gualderia, parallela al corso del rio Tepice, ospitava nel medioevo numerose tintorie.

Il Museo del Tessile, sito in via De Maria 10 e presso l’Imbiancheria del Vajro (via Imbiancheria 12), raccoglie macchinari e oggetti legati alla tessitura che coprono un arco temporale dai primi decenni del ’600 agli anni immediatamente precedenti la seconda Guerra mondiale. Si possono osservare filatoi, orditoi verticali e orizzontali, telai a mano, tipici della lavorazione di uno dei centri cotonieri più antichi del Piemonte.

I telai sono di particolare interesse: i più antichi risalgono al XVI secolo, sono senza navetta e dotati di porgitore, rimasti sostanzialmente invariati nel corso di secoli. La prima novità fondamentale nella tessitura è l’introduzione della navetta, cioè un pezzo di legno sagomato quasi a ricordare lo scafo di una piroga (di qui il nome), con un alloggiamento per la spola. Spinta da un batacchio comandato a mano, consentiva di produrre più velocemente lunghe pezze di stoffa: resistette fino ai primi anni del ’900 quando, soppiantato nel­le fabbriche dai telai a motore, proseguì a far udire il ritmico “clic clac” nel­le case dei cottimisti. Un altro enorme passo avanti fu l’arrivo, nel 1830, del telaio Jacquard, che consentiva la produzione di stoffe particolarmente raf­finate.

Ai telai in legno seguirono quelli in ghisa e ferro forgiato, e infine quelli in acciaio. Una sezione del museo è inoltre dedicata all’allevamento dei bachi da seta, in passato assai fiorente in città. Quasi tutte le famiglie destinavano una stanza all’allevamento dei bachi che, dopo voraci mangiate di foglie di gelso, salivano sui “boschetti” di rami e tessevano i loro bozzoli. I gelsi sopravvissuti lungo le strade di campagna sono ormai assai pochi, mentre in passato erano migliaia: eppure la produzione di fogliame non era sufficiente, tant’è vero che le cronache di inizio Novecento registrano più volte l’arresto di malcapitati sorpresi mentre si approvvigionavano su alberi altrui.

La creazione a Chieri del Museo del Tessile sta a testimoniare il legame tre la città e il settore produttivo. La Fondazione chierese per il Tessile e per il Museo del Tessile, sorta l’8 Novembre 1997 con la partecipazione del Comune di Chieri e della Regione Piemonte, nell’ex convento di Santa Chiara, si occupa del Museo.


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